quadro raffigurante esodata

Quello che Elsa Fornero non dice

 

 

Da giorni l’attenzione dei media nei confronti del regista Ciro Formisano si è come fossilizzata sull’opportunità o meno di far coincidere la presenza della Prof. Elsa Fornero con quella di alcuni esodati alla proiezione del film L’Esodo. Si è parlato di posture irrigidite, di espressioni tese, di lacrime. In sostanza, la raffigurazione di una sorta di processo pubblico che rimanda la mente a tristi contesti storici.

Ero presente all’evento. Ho visto posture irrigidite, volti tesi e lacrime da entrambe le parti e per opposte ragioni, ma non ho visto processi. La serata riproponeva una rivisitazione di quel drammatico dicembre del 2011, quando le decisioni di taluni infierirono, forse per sempre, nella vita di molti altri. Il fattore emotivo era ampiamente scontato ma non ci sono stati processi, anche perché l’accesso alla sala era ad invito, proprio per evitare derive in tal senso. Ho visto piuttosto una Fornero dialetticamente padrona del confronto e abilmente determinata a mantenerlo incentrato sugli aspetti emotivi pur ribadendo, a sei anni di distanza, la propria ferma convinzione di aver agito eticamente nell’unica maniera possibile additando, per contro, alle responsabilità di chi, nei successivi sei anni, le è succeduto lasciando ancora ora nell’indigenza 6.000 famiglie.

Sarebbe alimentare una risibile questione di lana caprina obiettare alla sua affermazione, secondo la quale ne salvaguardò più il governo Monti in due anni che non i due governi che gli succedettero nei quattro che seguirono. Dai dati di consuntivo se ne ricava solo una parziale, ininfluente conferma. È infatti vero che il governo Monti approvò tre salvaguardie per 130.000 posizioni, ma è altrettanto vero che, a consuntivo, le domande complessivamente accolte furono poco più di 89.000 mentre le restanti cinque salvaguardie ne accolsero circa 55.000. Piuttosto, quello che conta e che, in questo preciso frangente, deve scuotere le coscienze è che, dopo sei anni e otto provvedimenti parziali, restano circa 6.000 esodati, con relative famiglie, privati del lavoro e del loro diritto alla pensione costituzionalmente quesito (v. sentenza costituzionale 822/1988) ben sei anni or sono.

In particolare, non può dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando già sia subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività lavorativa.

 

Un governo, a partire dalle le forze che lo sostengono, che lascia nell’indigenza 6.000 famiglie per distribuire in mille rivoli, Carnevale compreso, i fondi delle salvaguardie non può appellarsi ad una inderogabile esigenza, così come invece richiama la sentenza, e non ha alcuna attenuante per il suo operato.

Se andiamo invece a leggere, per esempio, quanto affermava la stessa Prof. Fornero in materia previdenziale già nel 2003, notiamo facilmente come la naturale evoluzione delle sue argomentazioni avrebbe condotto ai provvedimenti poi adottati otto anni dopo dal suo governo col decreto “Salva Italia”. Non solo questo relega le sue attuali espressioni emotive in una personalissima sfera che, con gli indirizzi politici e le relative scelte e conseguenze, nulla ha di che spartire ma, nel contempo, apre la porta ad importanti interrogativi sulla realtà emergenziale del momento e sull’affermazione che tutto fu compiuto nel breve spazio di 19 giorni.

La stesura della legge sicuramente avvenne in quell’arco di tempo e avrà rubato anche molte ore di sonno ad alcuni “tecnici” ma le linee guida avevano un’origine lontana, tanto nella cultura delle persone reclutate quanto nella stessa genesi dei provvedimenti adottati. Quanto meno, dovremmo andare indietro all’agosto dello stesso anno, quando la BCE recapitò la famosa lettera all’allora premier Berlusconi pochi mesi prima dello scioglimento del suo governo. L’evidenza di una forte volontà controriformatrice contenuta in quella lettera, che nessun partito contestò, tanto che il “Salva Italia” divenne legge per approvazione bulgara, ci porta però a guardare più lontano ancora, al 1995, alla cosiddetta “riforma” Dini” e all’introduzione del regime contributivo per i lavoratori con meno di 18 anni di contribuzione. Senza contare la “riforma” Amato del 1992 che, pur non agendo sul regime di calcolo, elevò di ben 5 anni l’età per la pensione di vecchiaia e di altrettanto aumentò la contribuzione minima, pur considerando un transitorio di 7 anni per l’applicazione delle nuove regole. Nel contempo, la stessa legge aumentò da 5 a 10 gli anni di riferimento per il calcolo della retribuzione media.

Nel corso di questi ultimi 25 anni si percepisce un continuum controriformatore, a partire dall’incremento dei requisiti pensionistici, passando il “Salva Italia” e gli esodati , per finire all’APE, alle pensioni anticipate e alle salvaguardie mancate.

Tutto questo porta a ritenere fallace e fuorviante imputare ad errori umani un quarto di secolo di ripetute controriforme, tutte omologhe in quanto ad orientamento. Quanto avvenuto è stato scientemente preparato nel tempo, a prescindere dalle forzature strumentalmente esercitate nel momento clou da uno spread telecomandato; uno spread usato come mero strumento delle intenzioni di poteri estranei allo Stato di creare un sentore di terrore e di ineluttabilità nei cittadini, tali da indurli ad accettare quale male minore le decisioni più drastiche. Si disse che l’alternativa era la Troika, come in Grecia. Nonostante le “riforme lacrime e sangue” e la conseguente austerità, a sei anni di distanza nulla è cambiato; tanto meno è migliorato il debito pubblico che, a dispetto delle cosiddette riforme e delle elemosine propagandistiche, continua a lievitare. Se tutto questo non è servito a portarci fuori dal contesto dei PIGS  o anche solo a farcene intravvedere la possibilità, allora a cosa serve? A cosa deve servire se per la prossima primavera già si prospetta nuovamente l’incombere della Troika sui nostri conti?

Considerato il contesto venticinquennale in cui si è evoluto l’attacco alla previdenza pubblica, alla quale si è accompagnato un analogo regresso dell’intero stato sociale, viene difficile pensare agli esodati quale fine ultimo delle controriforme che si sono succedute. Verosimilmente, si deve pensare che l’obiettivo finale sia la previdenza pubblica in quanto tale. A dimostrarlo non sono solo gli esodati con il loro lungo Calvario ma sono principalmente le drastiche riduzioni dei sostegni al reddito operate e le forme di pensionamento anticipato attuate. In particolare si pensi all’APE: prima cancellano il regime di anzianità e contemporaneamente elevano quello di vecchiaia; successivamente consentono di ritornare, più o meno, ai vecchi requisiti a patto però di accollarsi un mutuo al fine di percepire quel reddito differito (perché questo è la pensione retributiva) che, a proprie spese, i lavoratori avevano accantonato versando i contributi. Uno sfregio al diritto costituzionale che ha del perverso, come perverso appare costringere le donne ad inseguire per anni le aspettative di vita o a pagare col 30% e oltre del loro salario differito il dovuto riconoscimento per i molteplici ruoli sostenuti, di lavoratrice, di moglie, di madre e, non di rado, di tutrice, badante e infermiera tutto fare.

Se realmente si fosse voluto aggredire il debito pubblico, si sarebbe dato un vigoroso impulso alla lotta all’evasione fiscale e a quella (accertata) contributiva che, da sole, valgono più di 100 miliardi. Si sarebbe dato corso alla separazione dell’assistenza dalla previdenza per far rientrare la spesa pensionistica nei parametri UE, si sarebbe restituita dignità ai lavoratori migliorando e non demolendo l’art. 18 del loro Statuto. Si sarebbe provveduto a tutelare le giovani generazioni con una seria politica dell’impiego anziché distruggere le loro aspettative previdenziali con un sistema contrattuale allucinante, con la decontribuzione spacciata per riduzione del cuneo fiscale e con i vaucher al posto del salario e delle dovute contribuzioni previdenziali e assistenziali.

 

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