quadro raffigurante esodata

L’esodo, un film scomodo che deve scuotere le coscienze

 

quadro raffigurante esodata

 

Non è facile commentare la serata svoltasi ieri, martedì 28 novembre 2017, nella struttura postindustriale della Cascina Roccafranca di Torino dove il regista Ciro Formisano, insieme alla protagonista Daniela Poggi, hanno condotto la proiezione della loro ultima opera “L’ Esodo” davanti ad un pubblico selezionato, tra cui la Prof. ssa Elsa Fornero (alla quale è stato donato il quadro sopra raffigurato), l’ex esodato Carlo Filippa e Gabriella Stojan, esodata con la prospettiva di restare senza alcun reddito ancora per otto lunghi anni qualora non intervenisse un ulteriore provvedimento di salvaguardia.

La trama del film, ormai nota, grazie ad una stupenda e partecipata interpretazione della protagonista, con uno stile asciutto e giustamente scarno di ambientazioni e cambi di inquadrature, costringe a fermare l’attenzione sul volto, sull’espressione e sulle parole dell’attrice. Un neorealismo lontano da quello dei buoni sentimenti che ci regalarono in altri tempi registi come Elio Petri e Pietro Germi. Freddo, perché freddi sono i pensieri di chi oggi si vede stroncare, forse per sempre, il proprio futuro. Scarno, perché poco resta da dire quando si è costretti ad inginocchiarsi sul selciato abbandonandosi alla mercé della coscienza e del buon cuore altrui. Vero, perché la sofferenza di Francesca non è soltanto la sofferenza della persona alla quale si è ispirato il regista ma è la sofferenza che hanno provato e che provano tutt’ora 400.000 famiglie. Intimamente devastante, perché chi è passato per l’Esodo, anche dopo anni, non riesce a dimenticare di essere stato usato come vittima sacrificale sull’ara di una folle ideologia. Tanto meno lo può dimenticare chi da quell’ara potrebbe non scendere mai. Non ha di sicuro dimenticato Carlo Filippa che, nel ripercorrere sullo schermo la sua odissea, viene colto dal pianto; un pianto vero che, sul volto di un uomo duramente ferito nel’animo, esige solo rispetto. Non dimentichiamo che, assicurazioni e buoni propositi a parte, a tutt’oggi ancora 6.000 persone, come Gabriella Stojan, sono condannate all’indigenza mentre mille altri appetiti attentano concretamente alle rimanenze dei fondi che la legge aveva destinato a sanare il diritto leso nei loro confronti. Il riscatto umano e sociale finale di Francesca, tipico della narrativa neorealista, sembra voler stemperare l’atmosfera drammatica della vicenda regalando una speranza, seppur effimera, a quegli spettatori che, per tutto il tempo, hanno assistito muti e turbati alla rappresentazione di se stessi, delle proprie angosce, del proprio dramma e… Per altri… Delle proprie responsabilità.

Il previsto dibattito in chiusura di serata, nelle intenzioni, avrebbe voluto essere un momento di confronto tra la finzione scenica e la realtà vissuta dai presenti tra i quali, oltre alle persone già citate, erano presenti esodati, ex esodati e giornalisti di diverse testate. In realtà, il dibattito è stato fin da subito monopolizzato dalla Prof. ssa Fornero manifestando, nella circostanza, una indiscutibile esperienza dibattimentale. Un’esperienza che sfrutta dapprima per minimizzare il lavoro del regista e il valore della sua opera esordendo con un sarcastico «così si vince facile» (pare però che oggi si sia espressa più favorevolmente col regista). Poi per leggere esclusivamente in soggettiva ogni altro intervento.

«L’alternativa era finire come la Grecia»
«Eravamo stati chiamati a salvare l’Italia»
«Io ne ho salvaguardati 130.000. Chi è venuto dopo cosa ha fatto in sei anni?»
«Sulla riforma è rimasto il mio nome ma l’hanno votata tutti»
«Sono diventata il capro espiatorio ma non ho colpe»
«Se non io, lo avrebbero fatto altri»

A prescindere che alcune di queste frasi rispecchiano una realtà perfino ovvia, tutte dipingono un’animo angosciato. Non dal dubbio circa il proprio operato, bensì da un rassegnato rancore generalizzato nei confronti di tutti. Nei confronti dei cittadini dai quali si ritiene offesa e, in alcuni casi, perfino minacciata; nei confronti della politica dalla quale si ritiene tradita. Segnali di autocritica: nessuno. Di fronte ad un simile arroccamento, a che sarebbe servito osservare, per esempio, che la Grecia non si è mai allontanata, che le 65.000 salvaguardie divennero 130.000 solo dopo che fu avanzata una proposta di sfiducia dal PD ed altri?

Si sperava nella possibilità di una obiettiva disanima dei fatti di quei giorni. Si è assistito ad una sorta di arringa difensiva che allontana ulteriormente le posizioni e rende una volta di più duro il giudizio. Non sulla persona, sulla quale nessuno ha diritto a giudicare, ma sul suo acritico operato. Al riguardo, nella flebile speranza che tanta durezza possa risvegliare le coscienze narcotizzate dall’ideologia, riporto il commento di un caro amico:

Se l’eversione dell’ordine democratico (perchè di questo infine parliamo, quando si ledono le strutture portanti del patto tra Stato e cittadini) non è sufficiente per sentirsi colpevoli tout-court; anzi, ci si vanta anzichè colpevolizzarsi; allora si pongono le basi perchè, un giorno o l’altro, per un motivo o per l’altro, l’ingiustizia si ripeta moltiplicata per dieci, per cento o per mille.

 

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