Che fosse possibile un accordo operativo, quand’anche di mero scopo, tra esodati e Opzione Donna, a giudizio di molti non era scontato. La pervicacia con la quale si insiste sul luogo comune di fantasiosi errori e inefficienze da parte degli apparati statali e politici, ha relegato la mobilitazione dei comitati in ambiti esclusivamente settoriali dai quali, il più delle volte, scaturiscono strategie e tattiche affatto contestualizzate con la realtà storica e politica con la quale dovrebbero invece necessariamente confrontarsi.
Come sostenevo nel corso di una recente, telegrafica intervista sul sito di Blastingnews, l’obiettivo ultimo, in ambito previdenziale, a partire dalla “riforma” Amato, è quello di traslare il concetto (e soprattutto la sostanza) di un sistema previdenziale a ripartizione degli oneri, verso la capitalizzazione degli accantonamenti. In altre parole: da un sistema interamente pubblico, dove è la collettività a garantire la sostenibilità del sistema, si vuole transitare verso un regime privatistico, in ragione del quale l’onere della sostenibilità assume valenza puramente soggettiva: tanto si versa e tanto si percepirà. Nel primo caso sono i lavoratori attivi e, in subordine, lo Stato a garantire al pensionato il mantenimento delle sue condizioni sociali e di vita; nel secondo tutto è subordinato alle leggi di mercato e della finanza; il che, in termini di potere di acquisto, a regime si traduce nella incertezza del soggettivo futuro e in un drastico taglio del reddito, che fonti attendibili stimano intorno al 40%, se non addirittura oltre.
È evidente che una simile trasformazione, a prescindere dalle questioni di merito, implichi il sacrificio di quelle generazioni che, stante il regime previdenziale in vigore, hanno contribuito alle pensioni altrui e non alle proprie. Sacrificio che si concentra accentuandosi se, durante la transizione, poteri estranei allo Stato impongono di accelerare l’attuazione del nuovo regime. Questa fu, in sintesi, la genesi degli esodati che, da iniziale effetto dell’accelerazione impressa alla controriforma, diventarono però ben presto uno dei mezzi – quello che meglio si sarebbe prestato – per indurre l’opinione pubblica ad accogliere come un male minore le soluzioni riduttive che avrebbe in seguito approvato il legislatore; soluzioni alle quali alcune parti politiche stavano gia al tempo lavorando.
In questo senso andava appunto la PDL 5103 del 2012, che prevedeva la salvaguardia per tutti gli esodati che raggiungessero i requisiti entro tutto il 2018 ma, nel contempo, prevedeva anche la pensione contributiva per chi avesse raggiunto i 57 anni di età e i 35 di contributi; requisiti dei quali erano in possesso la maggior parte degli esodati. Se tale proposta fosse diventata legge, la maggior parte degli esodati sarebbe stata riversata nel contributivo prima ancora di raggiungere i requisiti necessari alla salvaguardia.
Le cose non andarono in questo senso per l’opposizione di una parte degli esodati che, contestando appunto i prevedibili risvolti di una siffatta legge, non si riconoscevano in alcun comitato né condividevano la posizione favorevole della Rete ma, soprattutto, per la forte presa di distanze di Confindustria nei confronti del governo, nell’aprile del 2012, per esser venuto meno quest’ultimo agli impegni assunti con la ratifica degli accordi trilaterali di esodo. La dura e netta presa di posizione di Confindustria, per contro, mise in chiaro che le rivendicazioni degli esodati non erano conseguenza di lacune legislative, bensì di un vero e proprio vulnus costituzionale, di un diritto acquisito e successivamente negato, del quale gli esodati ne avrebbero chiesto (e ne chiedono tutt’ora) la restituzione nella forma e nella sostanza. Per il governo, il rischio di soccombere ad un ricorso in Corte Costituzionale da parte di centinaia di migliaia di ex lavoratori era altissimo e fu così che gli esodati, da effetto mutarono in strumento. Per salvare una banca dal fallimento, 20 miliardi si trovano in una notte ma, per gli esodati, gli 11,6 miliardi, giá stanziati, non sono mai stati interamente disponibili e, quando lo sono stati, lo sono stati col contagocce. Tra gli esodati, le cui fila nel frattempo si assottigliano di salvaguardia in salvaguardia, crescono mano a mano stanchezza e rassegnazione. Dopo cinque anni di vane speranze, chi è rimasto nel guado è sicuramente molto meno determinato nel rivendicare i suoi pur legittimi diritti ed è tentato di accettare offerte al ribasso che prima avrebbe fermamente sdegnato.
La PDL 5103 non venne approvata e il suo spirito venne ibernato in attesa di occasioni più propizie; in seguito, durante questi ultimi cinque anni, la vedremo rispuntare, più volte, laddove una nuova legge viene a proporre requisiti meno penalizzanti in cambio del passaggio al regime contributivo.
Ora gli esodati, ridotti a poche migliaia, come le tribù indiane d’America, non servono più; lo scopo per il quale sono stati tenuti sulla graticola per cinque anni è raggiunto e, a voler continuare a parlarne, in certi ambienti, pare che l’argomento sia diventato addirittura motivo di tedio. Ora ci sono altre realtà, ben più numerose e motivate ad accettare il regime contributivo, che non i pochi recalcitranti esodati superstiti. C’è il popoloso e fin troppo variegato mondo di chi iniziò a lavorare in età precoce, che giustamente chiede che si fissi anche per loro un congruo termine alla vita lavorativa. Ci sono le donne, che altrettanto giustamente chiedono al legislatore di tradurre in legge il dovere di risolvere le discriminazioni di genere e di riconoscere adeguatamente l’importante ruolo sociale da loro ricoperto in concomitanza o in prevalenza agli impegni di lavoro.
È fuori di dubbio che anche Opzione Donna, anche i precoci, siano stati uno strumento della politica, mirato a radicare nella mente dei lavoratori il regime contributivo quale presupposto a qualsiasi trattativa. Il problema è capire se, in quanto strumenti di una strategia, ad un certo punto verranno abbandonati al loro destino, come sta ora accadendo con gli esodati. Se si considerano le frequenti sortite del Dott. Boeri, qualche serio timore in tal senso bisogna pur considerarlo. L’obiettivo di Boeri è un contributivo, penalizzato da artifici di comodo, per tutti e con effetti retroattivi per le pensioni in essere. Si tratta di un obiettivo che travalica quelli di Opzione Donna e di qualsiasi altra categoria di lavoratori e pensionati e, se attuato, è destinato a polverizzare qualsiasi precedente conquista previdenziale e sociale. Di conseguenza, se l’effettivo obiettivo politico al quale mira il legislatore fosse quello del Dott. Boeri, dovremmo anche considerare che la funzione strumentale attribuita a Opzione Donna sia destinata ad esaurirsi anzitempo. Dal Milleproroghe si potranno trarre importanti risposte a questo quesito. L’eventuale esclusione dal cumulo contributivo dei soli esodati sarebbe la conferma del definitivo loro abbandono da parte della politica ma, nel contempo, sarebbe anche un brutto segnale, per Opzione Donna, che non andrebbe sottovalutato. Se la richiesta del cumulo gratuito venisse invece disattesa del tutto, allora non avrebbe più senso parlare delle specificità dei singoli comitati, perché sarebbe giá iniziata la fase ultima della controriforma, quella caldeggiata da Boeri. A quel punto, le pensioni sarebbero tutte a rischio, nessuna esclusa, e non avrebbe più alcun senso continuare a sperare in esiti soddisfacenti delle singole aspettative; in tale malaugurato caso, l’unica ipotesi percorribile resterebbe quella di proseguire speditamente sulla strada di un comune agire ad ampio fronte.