il popolo in marcia - dipinto

Esodati e media – come la tattica prevale sulla conoscenza

 
 
il popolo in marcia - dipinto

 
 
Volendo commentare le recenti partecipazioni degli esodati a programmi televisivi, non si può evitare di sottolineare una diffusa difficoltà, da parte di alcuni intervenuti, a mantenere la parola e a contrastare il dirottamento del discorso. In altre parole, possiamo parlare di una scarsa predisposizione alla comunicativa che espone una persona alla facile strumentalizzazione da parte di chi ha interesse a cambiare discorso o a farlo fallire miseramente mettendo in cattiva luce la persona stessa. Questo lo si ottiene attraverso collaudate tecniche comunicative che mirano ad innervosire l’avversario, solitamente attraverso affermazioni palesemente fantasiose (ad esempio affermare che siano stati salvaguardati oltre 200mila esodati) oppure attraverso affermazioni sprezzanti (ad esempio, insinuando che gli esodati abbiano beneficiato di ingenti buonuscite). La padronanza dei dati reportistici e la conoscenza dei fatti non è quindi sufficiente a spuntarla in un contradittorio; è necessario anche la capacità di riconoscere le provocazioni dialettiche, saper mantenere il discorso sul binario prefissato, fino ad arrivare alla conclusione senza lasciarsi coinvolgere in inutili diatribe. Svuotare di contenuti la conversazione screditando nel contempo l’immagine dell’interlocutore, nell’avversario causa senso di impotenza e rabbia che, a questo punto, è facile far degenerare in zuffa dialettica.

Volendosi rifare ad un caso reale, questo è esattamente quanto è avvenuto nella trasmissione di La7 “L’aria che Tira” del 9 ottobre scorso. Dirottata fin da subito da una affermazione palesemente esagerata sul numero delle salvaguardie fino a qui approvate, la rappresentante degli esodati si è involuta in una inutile diatriba sui numeri. Subito pressata da un secondo intervento che ironizzava sulla sulla sua effettiva condizione di esodata, la signora ha perduto definitivamente il controllo del discorso e dei nervi, tanto che il giorno successivo è stata fatta prontamente oggetto di resoconti non proprio felici da parte di alcuni quotidiani. Non è infatti diplomatico affermare, come è stato affermato in trasmissione, di non volersi più confrontare con determinate persone. Quand’anche ne sussistessero valide ragioni, non si può pretendere l’ostracismo di una televisione pubblica verso un qualsiasi esponente politico; sarebbe molto facile, per la Redazione televisiva, optare per la soluzione inversa. Oltre che di tattica e di educazione, nel dibattito pubblico occorre tenere a mente che esistono anche ragioni di opportunità che non vanno sottovalutate. Per contro, va senz’altro riconosciuto l’impegno professionale profuso da alcuni conduttori televisivi nel mantenere un clima etico durante la trasmissione e nell’adoperarsi per consentire uno svolgimento coerente e sereno del dibattito; impegno al quale è compito anche dei convenuti contribuire, soprattutto da parte degli esodati quando venga a mancare un pari contributo della controparte.

Non è certo questo l’unico episodio degno di menzione anzi, fatti ben più gravi e screditanti (e stranamente mai presi in considerazione dai comitati) avvengono in altri contesti dove, a volte, i tempi a disposizione sono da spot pubblicitario e la moderazione, dallo studio, è pressoché del tutto inefficace. Non si tratta quindi di istruire processi o di additare presunte responsabilità. Si tratta di comprendere che, per non essere stritolati, occorre innanzitutto operare delle selezioni per quanto riguarda la partecipazione ai programmi e, in secondo luogo, occorre che chi vi partecipa sia consapevole di entrare in una arena dove non esistono colpi proibiti; esiste solo chi porta a casa il risultato e chi ne esce cornuto e mazziato.

A prescindere dal caso riportato ma con particolare riguardo ai collegamenti volanti dalle piazze, non è raro constatare come lo scambio di opinioni trascenda facilmente nell’insulto laddove vengono a coniugarsi rabbia per la palese provocazione e incapacità a sostenere il confronto. E’ per questa ragione che gli esodati, pur sostenendo con forza e talvolta con durezza le proprie argomentazioni, censurano chi si esprime in maniera incontrollata, tanto negli studi televisivi quanto nei forum di Facebook e nelle piazze dove talvolta condividono le riprese con altre categorie di lavoratori e dove in un attimo il clima si trasforma nella metafora di una arena circense d’altra epoca, fortemente propedeutica alla reazione inconsulta. Parimenti però censurano altrettanto fermamente chi, introducendo il proprio intervento con provocatorie esposizioni di dati che non trovano alcun riscontro nella realtà documentale che loro stessi affermano di conoscere, contribuiscono fortemente ad alterare il clima discorsivo.

Per coloro ai quali si sta prospettando l’esclusione da quella che ci viene presentata come l’ultima possibilità, il momento è estremamente delicato. Si dovrà fare ricorso, come meglio si saprà fare, a tutti gli strumenti dei quali si dispone per sostenere la causa degli esclusi, a cominciare dai media, per finire ai referenti politici. A questi ultimi dev’essere chiaro che contestare una responsabilità, non condividere una soluzione, chiamare in causa, non sono sinonimo di disprezzo o di insolenza ma sono un tentativo di forzare un fronte di dialogo, magari allargato a tematiche più ampie, per raggiungere il miglior compromesso possibile.

 
 

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