In questi giorni concitati, che precedono le promesse “soluzioni definitive” da parte del Parlamento in materia di esodati e, più in generale, di tutti coloro che anelano ad un provvedimento di salvaguardia dall’attuale regime pensionistico o ad una uscita anticipata dal lavoro, diventa estremamente importante dare il giusto significato ai termini ricorrenti nelle anticipazioni e nelle interviste.
Si parla molto di “soluzione strutturale” nei confronti di chi ancora è al lavoro, come ad esempio i lavoratori precoci ma, non di rado, lo stesso termine ricorre laddove si parla delle aspettative degli “esodati”.
Siamo tutti consapevoli di cosa significhi questo termine? Siamo consapevoli di cosa andiamo a chiedere quando, attraverso gli slogan e i documenti che intercorrono con le parti politiche, chiediamo una “soluzione strutturale”?
Sul significato del termine “soluzione” penso non possano esistere perplessità di sorta ma è la parola “strutturale” a conferire significato e sostanza alla”soluzione”.
Strutturale: che è caratteristica specifica e determinante di una struttura.
Strutturali sono il cemento e l’acciaio utilizzati nella costruzione di un ponte; strutturali sono le funi che lo tengono sospeso o gli archi che lo sorreggono. Di sicuro non sono strutturali le fioriere poste a decoro dei suoi lati.
Allo stesso modo, non possiamo parlare di intervento strutturale quando parliamo di salvaguardie. I due termini sono inconciliabili e la cosa è evidente.
Intervenire sulla struttura di una legge – nella fattispecie la legge Fornero – significa alterare, tanto o poco non ha importanza, le disposizioni e i termini della stessa legge. Se il Parlamento domani approvasse una legge che andasse a variare i requisiti necessari al pensionamento, introdurrebbe una riforma (o controriforma) strutturale, perché andrebbe ad alterare, in maniera permanente e per tutti, le caratteristiche della legge vigente.
La salvaguardia invece non presuppone affatto di modificare la struttura della legge vigente. Anche qui, è la parola stessa a venirci in aiuto: salvaguardare significa “fare salvo”, concedere un salvacondotto che, nello specifico e in presenza di determinati requisiti pensionistici, esoneri il soggetto dal sottostare alla legge vigente, concedendogli di far riferimento alla precedente. In questo caso, il provvedimento ha carattere di eccezione soggettiva in vigenza di una legge che, a sua volta, non viene affatto intaccata.
Potrebbe sembrare superfluo dilungarsi in queste disquisizioni ma tanta è la confusione che si sta facendo su questi termini e altrettanto è il rischio che, sull’onda di questa diffusa confusione, possano generarsi aspettative distanti dalla realtà. Poco male se la confusione fosse riferibile unicamente a come sono interpretate dai futuri pensionati. Il problema è che la stessa confusione la stanno facendo anche opinionisti, esponenti politici di spicco e molti media ad ampia diffusione.
Per calarci nel concreto: gli esodati non necessitano di alcun intervento strutturale sul sistema pensionistico; la loro problematica ha caratteristiche di eccezione circoscritta nel tempo e nelle circostanze e non è riferibile all’intera collettività. Gli esodati hanno semplicemente bisogno di una salvaguardia, per la quale la Legge 228 del 2012 ha istituito un apposito fondo, che attualmente sarebbe sufficiente a garantire la salvaguardia a 49.500 esodati, senza alcun aggravio economico per lo Stato.
Restando in tema di esodati vanno quindi stigmatizzate e fermamente confutate le parole del Min. Padoan, riportate nell’edizione odierna di Repubblica laddove, riferendosi alle problematiche connesse con la settima salvaguardia, accenna a spazi (economici?) che andrebbero ricercati nel contesto della Legge di Stabilità.
Se si parla di oneri economici, il fondo esodati è autosufficiente quindi, cosa si dovrebbe cercare ora nella Legge di Stabilità? Usare i soldi del fondo blindato ad esclusivo uso delle salvaguardie necessita di soluzioni?
Questa parola (soluzione) ricorre troppe volte e sovente a sproposito; soprattutto ricorre in ambito di discorsi dai cui toni, sempre molto generici e niente di più che probabilistici, si può dedurre tutto e il contrario di tutto. Di questo passo, la questione esodati rischia di essere trascinata inopinatamente in un contesto, quello della Legge finanziaria, col quale non ha assolutamente nulla da spartire e di trovarsi a dover sottostare, al pari della ventilata pensione anticipata, a logiche ragionieristiche alle quali essa è del tutto estranea e tale deve restare.
Tanto più deve destare attenzione l’uso disinvolto di determinate parole quando, a sovrastare tutto, c’è l’ormai nota querelle intorno al fondo esodati, istituito e blindato dalla Legge 228 del 2012, oggi dotato di 1400 milioni che, da qui al 2018, incrementeranno a 3300.
I fatti sono noti:
in perfetta antitesi alle decisioni adottate in occasione della sesta salvaguardia, quando il Ministro Padoan ritenne lecito utilizzare i fondi rimasti inutilizzati dalle salvaguardie precedenti, ora lo stesso Ministro si contraddice negando la disponibilità delle somme inutilizzate dalla sesta.
Sia come che sia, tirando le somme dell’aut aut imposto dal Min. Padoan, dei 3,3 miliardi attualmente se ne potrebbero utilizzare appena 1,4 ma, di questa somma, 500 milioni sono finiti non si sa dove. Ergo, a copertura di una settima salvaguardia restano disponibili soltanto 900 milioni; appena quanto basta a provvedere per non più di una decina di migliaia di salvaguardie.
Al di la delle tante chiacchiere distribuite come caramelle attraverso i media, il rischio concreto è che più di 35.000, dei 49.500 esodati (tanti ne sono stati certificati da INPS in Parlamento) che sono in attesa della settima salvaguardia, possano finire con l’essere posti in pensione anticipata; cosa che non sarebbe propriamente una soluzione “a costo zero” per questi esodati, visto che la pensione anticipata comporterà delle sicure penalizzazioni.
Se questo sia effettivamente il segreto disegno di questo governo, se il fondo esodati verrà immolato alla disperata caccia di fondi a sostegno delle improbabili promesse elettorali del suo premier, se dalla settima salvaguardia si vogliano escludere più dei tre quarti dei 49.500 esodati, riducendo la settima salvaguardia ad una mini-settimina, questo oggi non lo possiamo sostenere con certezza. Certo è che tutto sta portando ad alimentarne il serio timore e sarebbe un grave errore, da parte dei sindacati e dei comitati stessi, arrivare al presidio del 22 settembre senza aver preso in seria considerazione l’ipotesi e senza aver preparato le opportune richieste di chiarimenti e garanzie. Parlarne dopo dicendosi sorpresi, servirebbe a nulla.