Nella seduta del 16 Settembre u.s. della Commissione Senato è ripreso l’esame congiunto della sesta salvaguardia (DL 1558/2014).
Credo sia ormai nota a tutti la volontà comune delle parti (comitati esodati e parti politiche) di soprassedere a presentare ulteriori emendamenti onde consentire una rapida emanazione del provvedimento che porterà così al pensionamento con le vecchie regole altri 32.100 esodati.
In questa sede e come per altro già precedentemente preannunciato, il Sen. Ichino ha presentato un ordine del giorno (quindi non un emendamento) che, per completezza d’informazione, riportiamo di seguito:
ORDINE DEL GIORNO AL DISEGNO DI LEGGE N. 1558
G/1558/1/11
ICHINO, PAGANOIl Senato, considerato che:
con i cinque provvedimenti di salvaguardia emanati dalla riforma del dicembre 2011 a oggi, cui si aggiunge il sesto, contenuto nel disegno di legge in esame, è stata assicurata l’applicazione della disciplina previgente del pensionamento per tutti coloro che, avendo perso involontariamente l’occupazione nel periodo immediatamente precedente o immediatamente successivo alla riforma stessa, si attendevano il pensionamento entro il quadriennio successivo (2012 – 2015), nonché tutti i lavoratori in carico da prima della riforma a “fondi di solidarietà” istituiti in funzione della soluzione di crisi occupazionali aziendali o di settore;con gli stessi provvedimenti di salvaguradia è stata inoltre assicurata l’applicazione della disciplina previgente del pensionamento per coloro che fossero stati autorizzati alla prosecuzione volontaria prima della riforma, in attesa di maturare i requisiti per il pensionamento entro il quadriennio successivo (2012 – 2015);
salvi alcuni casi, numericamente assai limitati, che soltanto per circostanze particolari e peculiari non rientrano tra quelli salvaguardati e ai quali dovrà essere dedicata la necessaria attenzione in funzione di soluzioni ad essi rigorosamente circoscritte, con quest’ultimo provvedimento di salvaguardia deve considerarsi conclusa la fase degli interventi legislativi volti a risolvere problemi transitori di applicazione della riforma con l’esenzione dalla nuova disciplina pensionistica in favore di persone interessate da accordi di scioglimento dei rapporti di lavoro in prossimità del pensionamento;
occorre ora voltar pagina rispetto a una prassi che ha visto troppo diffusamente utilizzato il sistema pensionistico come strumento di politica del lavoro, per risolvere problemi di disoccupazione con l’espulsione precoce dei lavoratori interessati del mercato del lavoro;
è necessario, per altro verso, evitare che l’attesa di provvedimenti ulteriori di salvaguardia induca una parte dei potenziali interessati ad astenersi da possibili opportunità di occupazione;
è invece tempo di incominciare a operare in modo efficace e incisivo per l’aumento del tasso di occupazione della popolazione italiana in età superiore ai 50 anni;
sulla base di queste considerazioni impegna il Governo:
a sviluppare – anche sulla scorta delle migliori esperienze straniere di politiche di active ageing – un insieme organico di interventi volti a incentivare e facilitare la permanenza e/o il reinserimento dei cinquantenni e dei sessantenni nel tessuto produttivo, con forme di flessibilizzazione dell’eta del pensionamento, di combinazione del lavoro a tempo parziale con pensionamento parziale, di incentivo economico alle iniziative delle imprese volte a ridisegnare le posizioni di lavoro in funzione della migliore valorizzazione delle doti di esperienza, equilibrio e affidabilità delle persone nell’ultima fase della loro vita attiva; inoltre, laddove nessuna delle anzidette misure di promozione dell’invecchiamento attivo possa essere adottata,ad affrontare il problema degli ultrasessantenni che abbiano perduto l’occupazione senza avere ancora i requisiti per il pensionamento e che si trovino in difficoltà nella ricerca di una nuova occupazione, attivando strumenti di sostegno del reddito, di assistenza intensiva nella ricerca e di contributo economico per l’assunzione, mirati a incentivare il loro reinserimento nel tessuto produttivo e non la loro uscita dal mercato del lavoro.
Premesso che dal punto di vista dell’iter legislativo questo non inficia il generale orientamento mirato al contenimento delle tempistiche, come purtroppo accade frequentemente, si rendono indispensabili alcune stigmatizzazioni.
E’ doveroso intanto puntualizzare che non è affatto vero che tra coloro che non rientreranno neanche in questa ultima salvaguardia si annoverino soltanto alcuni casi, numericamente assai limitati, imputabili a circostanze particolari e peculiari.
Ci saremmo anche attesi che il Sen. Ichino avesse voluto verificare bene quali categorie e quali realmente siano i numeri dei cosiddetti “esodati”, magari sostenendo l’interrogazione parlamentare dell’On. Gnecchi, volta a verificare le reali dimensioni del fenomeno, o promuovendone di nuove.
Si tratta di una realtà numerica che, a distanza di quasi 3 anni dalla manovra, non ci è dato conoscere esattamente. Gli ultimi numeri ufficiali diffusi dall’INPS, (con relazione accurata del maggio nella quale si dichiara un margine di errore del 2%), mai smentiti ufficialmente ma utilizzati diffusamente dalla RGS, parlano di quasi 400.00 soggetti interessati. Al netto dei sei provvedimenti di salvaguardia, secondo i conti INPS, resterebbero ancora senza alcun reddito e senza pensione, quindi condannati all’indigenza, oltre 200.000 casi.
Non ci sembrano, pertanto, “alcuni casi, numericamente assai limitati …” come sostiene l’On. Ichino nel suo documento.
Altri sono i casi specifici che, sebbene meritevoli di attenzione e cura dal punto di vista umano, vanno trattati in separata sede. Nel merito è appena il caso di segnalare la distinzione tra “esodati” ed “esodandi” puntualizzata dal Ministro Poletti e dal Sottosegretario Baretta e che noi condividiamo.
Qui si parla di accordi sanciti a suo tempo dallo Stato e di patti elusi dal medesimo sulla pelle dei lavoratori quando questi non erano più nelle condizioni di poter ritrattare la loro disponibilità: perché già erano in mobilità, perché già avevano intrapreso un percorso di contribuzione volontaria o perché semplicemente avevano già sottoscritto con le rispettive aziende accordi ormai non più ritrattabili; citiamo, a titolo di esempio per tutti, i casi di licenziamento (spesso senza alcun accordo e senza alcun ammortizzatore sociale) per chiusure aziendali, per fallimento od altro.
Fu lo stesso premier Renzi a parlare di “patti disattesi” nel suo discorso di insediamento ma, a questo proposito, preferisco partire dal pesante J’accuse pronunciato da Confindustria nei confronti dell’allora governo Monti e pubblicato su Il Sole 24 Ore in data 14 aprile 2012.
Un mese e mezzo dopo, il Ministro Elsa Fornero emana il primo decreto di salvaguardia. Per mobilitati e appartenenti a fondi di settore non c’è infatti traccia di vincoli temporali, tant’è vero che ci sono mobilitati salvaguardati che andranno in pensione anche dopo il 2020. I pochi rimasti esclusi verranno successivamente recuperati con il secondo e terzo provvedimento.
Diverso è il caso dei contributori volontari, dei cessati, dei licenziati (questi ultimi per lungo tempo neanche presi in considerazione) e delle altre categorie numericamente più esigue, tutti penalizzati da limitazioni e requisiti chiaramente strumentali al solo contenimento delle salvaguardie. Tant’è vero che il Dossier presentato dalla Rete dei Comitati (al Sen. Ichino è stato consegnato più volte proprio in considerazione della sua palese idiosincrasia avverso lo strumento) fin da subito propone il 2018 come anno di riferimento per una mediazione accettabile e sostenibile e non il 2015. Com’è possibile, per esempio, che vi siano mobilitati da salvaguardare dopo il 2020 e nessun contributore volontario già a partire dal 2016?
L’incongruenza di chi oggi parla di esodati come di persone quasi beneficiate dallo stato, che si appresterebbero a cavalcare la tigre al motto di “tutto come prima”, è quindi evidente e meriterebbe qualche argomentazione un poco più solida di quelle che ci propone il Sen. Ichino attraverso i suoi assunti.
Se lo stato ha creato un vulnus, lo stato ha il dovere di sanarlo a prescindere dai numeri; in caso contrario non svolge la funzione alla quale è stato chiamato. Il concetto secondo il quale sarebbe impossibile salvare tutti gli aventi diritto perché verrebbero meno i benefici della riforma Fornero è antitetico quindi inaccettabile.
Il disavanzo INPS sappiamo tutti molto bene da dove proviene e sappiamo altrettanto bene che non è stato causato dai costi della previdenza. Sappiamo altrettanto bene invece che il disavanzo in questione è la immediata e diretta conseguenza dell’improvvida quanto consapevole incorporazione del più colossale debito contributivo della storia; debito che ora verrà inevitabilmente socializzato a discapito dei pensionati di oggi e, ancor più, di quelli di domani (che sono poi i lavoratori di oggi). La riforma pensionistica non è stata quindi provocata dalla necessità di far cassa e a riprova basterebbe andarsi a leggere le relazioni di bilancio dell’Istituto a cavallo della riforma pensionistica (e del lavoro). Piuttosto la riforma era già nella famosa lettera della BCE dell’agosto 2011 ed era chiaramente indirizzata al superamento del regime retributivo tout court, come era chiaramente rivolta a depotenziare lo statuto dei lavoratori.
Pertanto la Rete dei Comitati chiede fermamente a tutti i senatori di votare contro tale ordine del giorno, e ribadisce il suo forte appello, a tutti i parlamentari ed al Governo, affinché venga attuata, anche a partire dalla Legge di Stabilità di prossima discussione, una soluzione, unicamente di tipo previdenziale e non assistenziale, per i cosiddetti “esodati” non ancora salvaguardati.