Precarietà

Ci sta per cadere addosso una montagna di precarietà, intesa nella comune accezione del termine.

Quando ci riferiamo ad essa il pensiero corre immediatamente alla saltuarietà del lavoro, mentre in realtà adesso più che mai rappresenta la percezione dell’instabilità politica, sociale e culturale in cui ci dibattiamo.

Lo stesso lavoro stabile può renderci precari se il reddito che ne conseguiamo è insufficiente al nostro diritto di esistere.

Quindi è bene ci si astragga dallo scontato significato delle parole, perchè esse stesse sono rese precarie dalla veloce progressione che ci sta letteralmente precipitando in un contesto socio-economico diverso e peggiore di quello in cui abitavamo sino ad ieri.

La precarietà è rappresenta da un sistema d’informazione che trasforma la realtà ad uso e consumo di chi paga i singoli pennivendoli o l’intera testata giornalistica.

Precarietà è essere in balia di forze economico-politiche socialmente destabilizzanti e scoprire che la rappresentanza parlamentare in difesa delle tue legittime istanze ha stretto un patto eticamente illecito con esse.

Si è precari quando si ha cittadinanza in un paese formalmente democratico, mentre sostanzialmente si è amministrati in modo autoritario.

Forma, quest’ultima, subdola e ormai consolidata di governo, che concede la protesta ma non la raccoglie; socializza tramite i media ad essa asservita le richieste di aiuto che si levano da ogni anfratto sociale, ma non le soddisfa.

E allora vai, con i Talk-show ormai giornalieri, dall’inconcludente squallore, vetrina di sedicenti politici che anziché studiare (sì, perchè la politica richiede studio continuo ed assiduo) non perdono occasione per mettersi in mostra, come fossero delle stars del cinema dediti alla promozione del loro ultimo lavoro cinematografico.

Ma prima di entare in scena, dietro le quinte, si sono messi già d’accordo tra di loro sul copione da recitare, assieme a imprenditori, economisti, sindacalisti, sociologhi, direttori di testate giornalistiche, anch’essi ospiti del grande circo mediatico. Si sono addirittura raccordati con il conduttore, per evitare trappole insostenibili.

L’importante è perpetrare il plagio che confonde e rende innocui gli spettatori, ormai anestetizzati e culturalmente subalterni.

Nei mantra del non senso i morti sul lavoro (guarda che combinazione, gran parte al primo loro giorno di lavoro), per i dissesti idrogeologici, per malasanità, continueranno ad essere esposti alla pubblica pietas ma la mortalità continuerà, magari peggio di prima.

Per essi, alla loro peritura memoria, si leveranno tutti a protestare, ma il loro stato di deceduti non migliorerà anche se il Presidente della Repubblica di volta in volta farà uno sdegnato appello.

Tra i morti, annoveriamo anche quegli imprenditori che fanno il botto perchè non pagati proprio dalla pubblica amministrazione se non dopo anni, magari quando nel frattempo si saranno ammazzati per la vergogna che il fallimento comporta in esseri umani che sanno cosa sia la dignità.

Anche e soprattutto questa è precarietà.

Il concetto si è esteso anche alla condizione di quel pensionato a cui, mentre scialava con la sua cospicua rendita di 480 euro mensili, è stato preannunciato che doveva restituirne 5.000 per errore erogategli.

Chissà, magari avrà pensato che avrebbe dovuto rinunciare a mantenere le sue olgettine, moda lanciata dal nostro ex presidente del consiglio, fatto sta che si è ammazzato prima che lo facesse l’INPS. Vittima della malaprevidenza.

Precarietà è anche ritrovarsi ad un passo dalla pensione e…flop, ti tolgono anche l’unica entrata che ipotizzavi come tuo diritto percepire. Non era una speranza, no. Ti era stato assicurato dal tuo datore di lavoro, che ha voluto sbarazzarti di te, troppo vecchio, troppo costoso per continuare a lavorare. Ti era stato assicurato dal sindacato, che ti ha assistito mentre apponevi la firma del tuo licenziamento e, in ultimo, pensavi che ti fosse garantito dal Ministero, dallo Stato che aveva accolto la richiesta di sfoltimento della tua, vecchia, cara azienda. Tranne poi scoprire che mai e poi mai lo Stato pensava di salvaguardarti, essendo troppo occupato a favorire esclusivamente “l’efficientamento aziendale” anche a costo di lasciarti, di lì a poco, proditoriamente con il culo a terra.

Precarietà è ascoltare il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, che ti rimprovera d’aver vissuto per decenni al di sopra delle tue possibilità, mentre tu ti chiedi se sia mai stato lontanamente consapevole della massa che da troppo tempo vive notti agitate solo al pensiero di dover cambiare il frigorifero.

Non abbiamo più nemmeno la stampella degli ideali, ultima frontiera della precarietà della nostra vita, perchè il sistema li ha messi al bando, soggetti al pubblico ludibrio.

Onestà e disonestà, professionalità e incompetenza, frugalità e consumismo, destra e sinistra, atei e religiosi, uomini e quaquaraquà, tutta poltiglia che rappresenta il precipitato di un qualunquismo che, come la notte, rende grigie tutte le vacche.

Tutto questo è precarietà.

 

 

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