Decreto esodati: confronto tra i dati Ministeriali e quelli dell’ INPS

La notizia, diramata dall’ ANSA nel pomeriggio di ieri, è dirompente. Non solo il popolo degli “esodati” è assai più numeroso di quello considerato nel decreto attuativo di inizio Giugno ma gli stessi numeri erano già presenti nella relazione firmata dal direttore generale dell’Inps, Mauro Nori, presentata al governo prima che il decreto in questione finisse alla firma del ministro dell’economia Mario Monti.

Questo è il vero nocciolo duro della vicenda esodati.

Osservando il grafico, non soltanto si può dedurre che appena un 20% degli aventi diritto sarà ora salvaguardato ma si nota benissimo che la parte sostanziale degli esclusi sono coloro che pure hanno terminato il rapporto di lavoro entro il 31/12/11 e coloro che sono in contribuzione volontaria. Non con questo che le altre categorie siano state completamente salvaguardate anzi, tutt’altro ma, tralasciando di scendere nel dettaglio delle mille e più casistiche che esistono all’interno di queste tipologie principali, risulta del tutto evidente che la sostanza della riforma è imperniata su più di 120.000 prosecutori volontari, che rischiano seriamente di aver buttato al vento anni e anni di salatissimi versamenti e più di 170.000 lavoratori che, pur avendo lasciato il lavoro entro la data ultima, matureranno il diritto alla pensione dopo il 06/12/2013 o che, a causa degli effetti retroattivi delle precedenti riforme, non rientrano più, e non per causa propria, nelle more della L. 223/91.

Se ancora fosse necessario sottolinearlo, questa riforma presenta due sostanziali aspetti: fare cassa sulle spalle degli ex lavoratori già privati del lavoro ed ora anche scippati della pensione e, è solo questione di tempo, pure dei risparmi e distruggere quanto rimasto del sistema pensionistico a regime retributivo.
Il governo ha più volte affermato l’intenzione di voler affrontare l’intera questione in momenti diversi, assicurando che saranno adottati criteri di equità pur rispettando i vincoli economici. Equità però non significa necessariamente rispetto dei diritti. Anche nelle liquidazioni fallimentari ci si ispira a criteri di equità (si fa per dire) ma non per questo il fallito vede riconoscere il reale valore dei beni posti all’asta. Promettere equità futura è semplicemente uno spregevole inganno perpetrato nei confronti di persone deboli ed ora anche fragili. Ingannevole per altro è anche sbandierare roboanti slogan sull’universalità dei diritti, quando poi è del tutto evidente che, ad ora, si parla di una platea di esclusi, rappresentanti l’80% di un intero, per la quale si va da sempre sostenendo che non esistono risorse. Allora, o iniziamo a pretendere che queste risorse vengano reperite e assegnate, magari colpendo i privilegi laddove finora sono stati accuratamente salvaguardati, oppure si fa della mera demagogia, a tutto vantaggio di organi rappresentativi che ormai lo sono solo più nell’occasione delle ricorrenze celebrative e a tutto svantaggio dello stato democratico e civile.

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