Art. 3, comma 6 della Legge 503/1991
Per i periodi relativi ai trattamenti di mobilità di durata continuativa superiore all’anno, di cui alla legge n. 223 del 23 luglio 1991 , ricadenti nel periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile, le retribuzioni accreditate figurativamente sono rivalutate anche in base agli indici di variazione delle retribuzioni contrattuali del settore di appartenenza, rilevati dall’Istat.
In questa disposizione è evidente la volontà del legislatore di equiparare, quanto più possibile il lavoratore in mobilità a quello in servizio, garantendogli di fatto e al meglio possibile, il mantenimento del tenore di vita al pari come se avesse effettivamente lavorato.
Dal momento che gli indici ISTAT possono essere calcolati, e successivamente resi pubblici, solo dopo che sia terminato il periodo di riferimento, va da se che INPS potrebbe disporne soltanto due mesi dopo; di conseguenza, la pensione potrebbe essere liquidata non prima di tre mesi dopo che sia stato maturato il diritto alla decorrenza. Per ovviare a questo ritardo che graverebbe esclusivamente a discapito dei diritti dell’assicurato, INPS liquida una pensione provvisoria.
Normalmente dopo qualche mese, come imposto dalla già citata Legge, INPS provvedeva d’ufficio a riliquidare la pensione in base ai nuovi importi calcolati, disponendo il pagamento degli arretrati a partire dall’insorgere del diritto (nella fattispecie dalla decorrenza) e dandone contemporaneamente esauriente comunicazione all’interessato.
A partire dal 1° gennaio 2009, e in maniera sistematica, INPS non ha più rivalutato nessuna liquidazione, nonostante la Legge in questione non abbia subito alcuna modifica né tanto meno sia mai stata abrogata, dicendosi impossibilitata ad ottemperare in quanto sprovvista delle nuove tabelle dei codici di attività per settori, entrate in vigore nel 2008 e indispensabili ai fini del calcolo della liquidazione definitiva.
Di primo acchito sembrerebbe trattarsi di un problema di interfacciamento tra enti pubblici ma è un fatto documentato che già negli anni precedenti, in molti casi, l’Istituto abbia proceduto alla ricostituzione (in termini ministeriali il termine equivale a “ricalcolo”) solo dietro esplicita richiesta dell’interessato. E’ un fatto pure la pochissima visibilità che tale problematica ha ricevuto negli ambienti sindacali che pure sono presenti, in rilevante misura, nel Consiglio di Sorveglianza e Vigilanza dell’Istituto, soprattutto se si guarda all’incredibile lasso di tempo trascorso dall’insorgere del problema, al numero dei soggetti coinvolti e all’entità delle somme non corrisposte.
Fatte salve le limitazioni imposte dall’applicazione dei tetti pensionistici, che al verificarsi di determinate condizioni possono intervenire riduttivamente sulle quote utilizzate nel calcolo, si può ragionevolmente quantificare le mancate corresponsioni in circa 30 € mensili (lordi) per ogni anno trascorso in mobilità nel caso di un iscritto ai Fondi Speciali e in 15 € mensili (lordi) per gli iscritti all’AGO. Le specifiche dinamicità contrattuali dei diversi settori lavorativi possono comunque incidere significativamente su detti importi che, è doveroso rimarcarlo, rappresentano una media su un campione casuale seppur discretamente ampio (più di 300 casi reali analizzati).
Per sollecitare la normalizzazione del processo, sono state finora inviate, da pensionati attuali e futuri, circa 200 email certificate alle sedi centrali e periferiche dell’INPS e altrettante email sono state inviate alle organizzazioni sindacali ed alla funzione del Ministero del Lavoro deputata a vigilare sulle attività correnti e sulla gestione patrimoniale degli istituti previdenziali.
Ad oggi, le risposte pervenute non sono granché entusiasmanti.
Con toni generici, INPS comunica che non sussistono motivi di allarmismo, che si sta provvedendo e che nel breve, non appena sarà conclusa la fase di individuazione e quantificazione dei soggetti interessati (ma quante volte ci devono ancora contare?), verranno ricalcolate d’ufficio tutte le pensioni degli ex mobilitati. Su questo fronte, visto che non sono bastati cinque anni per partorire una tabella, si resta necessariamente in attesa di scoprire quanto possa valere per l’ente pubblico, in termini di calendario, un termine temporale definito come “presto”.
Dal Ministero del Lavoro nemmeno una risposta che sia una.
Dalle organizzazioni sindacali non è scaturito altro che un banale invito a rivolgersi ai loro patronati, in questo non considerando il marginale fatto che, per fare il calcolo della pensione, i patronati utilizzano il programma Ca.R.Pe., cioè lo stesso programma utilizzato da INPS, che dal 2009 appunto non tiene conto dei coefficenti di rivalutazione delle retribuzioni figurative. Sempreche – nelle risposte non era specificato – non sottintendessero di essersi attivati per eseguire manualmente i calcoli ai nuovi pensionati degli ultimi cinque anni.
Viste le risultanze, restano pendenti due questioni che si chiamano una “decadenza” e l’altra “prescrizione”, alle quali il comunicato dell’Ufficio Stampa INPS del 30 aprile 2014 risponde indirettamente e in maniera affatto esaustiva ma, per fare chiarezza sull’episodio, rivediamo la cronistoria dei fatti.
Nella trasmissione televisiva Ballarò che precede la festività del 1° maggio 2014 si parla di ricostituzioni. Intervistato a chiusura del servizio, Enzo De Fusco della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro sostiene che il 6 luglio 2014 scadrà il termine per presentare domanda di ricostituzione della pensione e chi per quella data non avrà provveduto decadrà dal diritto. L’esperto ha commesso un evidente pasticcio, nel senso che il 6 luglio 2014 decadrà dal diritto chi era andato in pensione il 6 luglio 2011 perché questo dice l’Art. 38 comma 1 punto d) del DL 98 del 6 luglio 2011 (convertito nella Legge 111 del 15 luglio 2011):
d) al decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970 n. 639, e successive modificazioni,
sono apportate le seguenti modifiche:1) all’articolo 47 è aggiunto, in fine, il seguente comma:
“Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte.”;
2) dopo l’articolo 47 è inserito il seguente:
“47-bis. 1. Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni.”.
Si tratta con tutta evidenza di un marchiano errore dell’esperto intervistato e la risposta dell’Ufficio Stampa INPS del 30 aprile risponde in merito all’errore dell’esperto
Le pensioni che hanno diritto alla ricostituzione non saranno interessate alla scadenza dei termini di luglio 2014.
Contrariamente a quanto affermato nel corso di una trasmissione televisiva andata in onda nella serata di ieri, non c’è alcuna scadenza per le rivalutazione delle pensioni, tanto meno di coloro che hanno avuto come ultimo periodo, prima della pensione, la mobilità.
Come si può ben notare, il comunicato non afferma affatto che per gli esodati non debba valere la legge 111/11 e, di conseguenza, sui diritti di questi ultimi non debbano incidere i termini di decadenza e prescrizione.
Chi deve affrettarsi è chi maturò la decorrenza intorno alla data del 6 luglio 2011 perché adire le vie legali per ottenere la ricostituzione della pensione è, a tutti gli effetti, muovere azione giudiziaria avente ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte, come specificamente previsto nell’articolo di Legge in questione.
Ma, se c’è chi deve affrettarsi, stando alla Legge, c’è anche chi dal diritto è già decaduto perché magari andò in pensione ad aprile 2011. Di certo, per tutti il problema prioritario è la prescrizione, che non consente di recuperare i ratei pregressi (non il diritto alla rivalutazione) oltre il limite massimo di cinque anni.
Il consiglio, per i soli pensionati (perché non sarebbe possibile richiedere il ricalcolo di un rateo che ancora non si percepisce), è di dare corso all’iter amministrativo senza indugio, facendo richiesta di ricostituzione online attraverso la procedura presente sul sito INPS. Non sarebbe possibile avviare un’azione legale senza aver prima percorso compiutamente tutti i passaggi amministrativi previsti (che già di per se comportano tempistiche discretamente lunghe).
INPS ha 120 giorni di tempo per rispondere alla richiesta di ricostituzione mentre il richiedente ha 90 giorni di tempo per avviare il ricorso in caso di reiezione della domanda da parte dell’Istituto, a partire dalla data di ricevimento del rifiuto (è vivamente consigliato consultare frequentemente la posta certificata dopo aver inoltrato la domanda). Trascorsi i 120 giorni a disposizione dell’Istituto senza aver ricevuto risposta, la domanda è da ritenersi reiettata a tutti gli effetti e inizia il count-down dei 90 giorni a disposizione del richiedente per presentare ricorso.
Il ricorso può essere presentato esclusivamente online, personalmente o tramite patronato (più avanti cercheremo di fornire indicazioni nel merito). Qualora INPS non rispondesse al ricorso entro 90 giorni, dal 91° giorno si potrà dare corso all’azione legale; se invece INPS rispondesse rigettando il ricorso, l’azione sarà proponibile dal giorno successivo alla ricezione della risposta. In entrambi i casi, pena decadenza, l’azione giudiziaria deve essere proposta (deposito della citazione in tribunale) entro tre anni.
In pratica l’iter amministrativo richiederà circa sette mesi, durante i quali (si spera) la procedura di rivalutazione potrebbe essere riattivata. Nel caso si dovrà ancora appurare se la Legge verrà applicata d’ufficio o a domanda ed è per questo che, a fronte del rischio di incappare nei termini di decadenza e prescrizione, è vivamente consigliabile presentare domanda di ricostituzione quanto prima possibile, senza indugiare dietro a rassicurazioni prive di sostanza.
Nel caso si dovesse rendere necessaria l’azione legale, è allo studio la possibilità di raccordarsi a livello regionale, in modo da poter concordare condizioni di patrocinio maggiormente favorevoli contenendo il numero dei legali e consentendo loro, all’occorrenza, una più proficua concertazione delle azioni.